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Una nuova saggezza per il tempo presente

GIUGNO 2020

Alcuni spunti di riflessione per i nostri prossimi programmi

Care amiche e cari amici che seguite le attività del Centro Culturale Protestante di Milano.
Innanzitutto un grazie di cuore per essere rimasti in contatto con noi, durante questo non facile tempo di sospensione. Come sapete, non avendo più potuto tenere i nostri consueti incontri dal vivo, abbiamo dato vita a una nuova iniziativa: le Anteprime. Brevi approfondimenti video, registrati apposta per noi, inediti: anteprime degli incontri che contiamo di riprendere non appena sarà possibile.

Purtroppo, alle soglie del periodo estivo, ancora non sappiamo con precisione quando e con quali modalità ci sarà permesso tornare alle attività abituali, e quali altre nuove proposte potremo avviare. Ma intanto possiamo già chiederci se i grandi rivolgimenti connessi alla pandemia tuttora in corso non debbano spingerci, come centro culturale, a orientare in modo nuovo le nostre riflessioni e le nostre proposte.
Proviamo allora a porci questa domanda: la tragica crisi che ha investito tutto il pianeta sul piano sanitario, economico, politico, sociale, oltre a portare tanto dolore, ha dischiuso forse anche nuovi opportunità? Ci permette di vedere la nostra epoca sotto una diversa angolazione? Innanzitutto, il rapidissimo dilagare, in ogni angolo della Terra, di una malattia così pericolosa e troppo spesso mortale ha reso evidente a tutti l’angosciosa precarietà, la persistente, drammatica fragilità delle nostre nude vite, malgrado tutte le conquiste della tecnica e i progressi della scienza finora raggiunti. Una pandemia non è certo in grado di distruggere l’intero genere umano: si arresta sempre prima di aver portato all’estinzione un’intera specie. Ma il devastante dilagare del covid-19 è possibile che abbia rafforzato in tutte e tutti noi una consapevolezza che, non per il virus, ma per altri ancor più pericolosi fattori, ha cominciato da tempo a diffondersi: la sopravvivenza del genere umano sulla Terra non è più una certezza acquisita e garantita. Non lo è più, per l’esattezza, dal 6 e dal 9 agosto del 1945, quando vennero sganciate le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.

Nel 2020 – ricordiamocelo – cade il 75esimo anniversario di quell’orrore; e su un simile sinistro anniversario sarà bene portare avanti, una volta di più, la riflessione. Infatti, non sempre abbiamo maturato adeguata consapevolezza sulle conseguenze di tale evento epocale. Pensiamoci: prima del 1945 nessun potere umano, in nessuna parte della Terra, aveva mai raggiunto la capacità di distruggere la vita umana sul pianeta intero. Ma da 75 anni a questa parte questa capacità l’abbiamo ottenuta. La scomparsa dell’umanità è entrata a far parte delle nostre possibilità. E non solo a causa di una eventuale guerra atomica. Ma anche perché, come sappiamo, al rischio nucleare si è negli ultimi anni aggiunto il gravissimo rischio ambientale: un riscaldamento climatico che potrebbe continuare a crescere fino a rendere appunto impossibile il persistere della vita umana. A meno di non rafforzare su tutto il pianeta una radicale e generalizzata riconversione ecologica, tuttora troppo incerta. Ma perché si realizzi una simile riconversione, occorre che si diffonda e si radichi ovunque la consapevolezza profonda che, per causa nostra, l’estinzione dell’intero genere umano è diventata davvero un’eventualità da non escludere. Ciò significa comprendere che il valore minimo, il valore più ovvio e più banale, cioè la sopravvivenza dell’umanità, viene a coincidere oggi con il valore più alto, più prezioso. Perché senza sopravvivenza del genere umano, nessun altro valore, etico, culturale, sociale, avrebbe più alcun senso.

Ebbene, è possibile che il grande trauma mondiale della pandemia, abbia facilitato, possa auspicabilmente facilitare questo benefico e radicale cambiamento di mentalità: capire che nella nostra epoca (dal 1945 in avanti) qualsiasi cosa abbiamo in mente di fare, dobbiamo farla avendo come orizzonte ideale, come valore primo e ultimo, la salvezza dell’umanità intera. Non possiamo più operare a beneficio della nostra sola parte, contro gli interessi contrapposti degli altri, o contro gli “interessi” della Terra stessa, della natura vivente. Perché la nostra parte diventa la Terra intera.

In altri termini, se ci poniamo dal punto di vista della sopravvivenza umana – intesa quale valore al tempo stesso minimo e massimo – ecco che il nostro interesse particolare si rivela coincidente con l’interesse universale. Il che comporta una seconda, radicale conseguenza: non possiamo più considerare la natura come una controparte da sfruttare o da dominare: occorre invece, con estrema urgenza, dar vita a una nuova alleanza con la natura, con una Terra da proteggere, da curare, da comprendere, perché noi ne facciamo parte integrante, non possiamo più vederci come soggetti esterni e opposti ad essa.

Ma questa nuova alleanza con la natura, o con il creato – se vogliamo così chiamarlo – implica a sua volta una rivoluzionaria conseguenza: noi siamo chiamati oggi a identificarci con la Terra intera. Io non posso più considerare il mio territorio – il Paese a cui appartengo, quello con cui mi identifico – come un bene da difendere contro coloro che appartengono a territori altri. Perché il mio territorio coincide oggi con il territorio altrui: il mio paese è il tuo paese, è il nostro paese, cioè il pianeta intero. Ma identificarsi con la Terra intera è difficilissimo, e infatti non è mai accaduto prima d’ora in tutta la storia dell’umanità. O meglio: questo ideale nonviolento – la salvezza dell’umanità intera, la pace universale – è stato annunciato nei secoli da tante voci messianiche o profetiche (basti pensare a Isaia, a Gesù, al Buddha, e poi a Gandhi o Martin Luther King). Tali voci, tuttavia, mai hanno spento finora le guerre, le devastazioni, le predazioni ricorrenti, cresciute anzi a dismisura fino una soglia oltre la quale la sopravvivenza dell’umanità appare in forse.

Per questo oggi un simile ideale – identificarsi con la Terra intera – si rivela come una necessità imprescindibile. Ma identificarsi con la Terra rimane difficilissimo perché, per farlo, occorre farla finita, una volta per tutte, con il terribile schema amico/nemico, che affligge da sempre la storia umana. Identificare la nostra parte come quella amica, e individuare una controparte nemica, da sconfiggere, da odiare, annientare, o semplicemente ignorare. L’antichissimo, universale, disastroso schema animo/nemico, si regge a sua volta su due logiche, due paradigmi etici, due elaborazioni psichiche, che hanno finora dominato ovunque, ma che oggi più che mai occorrerebbe quantomeno indebolire, contenere. Il primo paradigma è l’elaborazione paranoica della sofferenza, tale per cui il male, la morte, il dolore deve sempre essere addebitato a un altro, a un colpevole, un nemico contro il quale scagliarsi per eliminare la supposta causa del nostro dolore. Il secondo paradigma è l’elaborazione predatoria delle risorse, tale per cui la ricchezza – grande o piccola che sia – non va condivisa e coltivata con parsimonia e cura, bensì accaparrata, saccheggiata, escludendo sempre dal suo utilizzo chi non fa parte del nostro gruppo.

Lo schema amico/nemico, l’elaborazione paranoica della sofferenza, l’elaborazione predatoria delle risorse, si ripresentano in ogni epoca della storia: caratterizzano – in una forma o nell’altra – tutte le culture, tutte le etnie. Potremmo mai farne a meno? Non è, la loro abolizione, un auspicio impossibile, illusorio? Forse sì. Ma possiamo perlomeno cercare di indebolire questi meccanismi; possiamo perlomeno far crescere la consapevolezza che una nuova etica è possibile. Un’etica della condivisione e della reciproca interdipendenza, per la pacificazione e la remissione dei conflitti, a partire dalla constatazione ineludibile che il modo intero è a rischio e che lo si salva solo assieme. Questa etica della condivisione – del resto – è già stata annunciata nei secoli dalle parole profetiche delle grandi religioni e delle grandi filosofie. E a un confronto franco e critico, a un rispettoso e approfondito dialogo interreligioso e filosofico su somiglianze e differenze di queste diverse parole profetiche, siamo tutti oggi chiamati, in vista dell’orizzonte che tutti ci accomuna: la sopravvivenza del genere umano.

Un centro culturale come il nostro non può certo proporsi come movimento politico. Possiamo però chiederci in che modo comprendere i vari scenari politici, religiosi, sociali che oggi ci si prospettano. E possiamo chiederci come la storia passata, come i grandi testi filosofici e religiosi del passato possano illuminare una volta di più il nostro futuro. Per noi, come centro culturale protestante, ciò significa, inevitabilmente e felicemente, tornare una volta ancora e una volta di più, alla Riforma e alle Scritture. Al modo in cui la Riforma ha letto le Scritture, e come potremmo noi oggi leggere le Scritture, per illuminare il presente che ci aspetta.

Facciamo un solo esempio, alla luce di quanto abbiamo detto fin qui. Una nuova etica della condivisione implica l’elaborazione di una nuova saggezza, una nuova sapienza che ci permetta di stabilire relazioni pacifiche e gioiose con il creato, con gli altri, con Dio. Ma da dove cominciare? Dal Libro dei Proverbi, ad esempio, dove si parla di una sapienza che libera dal male e ci indica nel timor di Dio la via della salvezza. E chi proclama una simile salvifica sapienza? Essa non è il frutto di una riflessione umana, ma è la Parola stessa di Dio, che si autoannuncia, e ci chiama, e ci indica una via pratica di giustizia e di serena convivenza.

Ma la cosa straordinaria per noi – per i nostri problemi di oggi – è che tale sapienza (hokmā, in ebraico) si manifesta metaforicamente in forma femminile. Una sorta di “Donna-Sapienza”, che dapprima si presenta a noi: Io cammino per la via della giustizia, per i sentieri dell’equità, per fare ereditare ricchezze a quelli che mi amano e per riempire i loro tesori (Proverbi 8, 20-21). E poi garantisce la propria portata veritativa annunciando di essere stata stabilita fin dall’eternità, dal principio, prima che la terra fosse (Pr 8, 23). Ma ciò significa che quando Dio stava creando il mondo, lei, la Parola di Dio, la Donna-Sapienza, già era là, già assisteva alla nascita di tutte le cose, e ne gioiva nel profondo di se stessa: Quand’egli disponeva i cieli io ero là (…) quando poneva le fondamenta della terra, io ero presso di lui come un artefice; ero sempre esuberante di gioia giorno dopo giorno (…) mi rallegravo nella parte abitabile della sua terra, trovavo la mia gioia tra i figli degli uomini. Ora figlioli, ascoltatemi; beati quelli che osservano le mie vie! (Pr 8, 27-32). Ma ci rendiamo conto della forza dirompente e dell’attualità di simili parole?

Alla luce dei nostri presenti drammi, di fronte alla necessità urgente di trovare nuove forme di sapienza e di etica basate sulla condivisione, ecco che la Scrittura, e in particolare qui il Libro dei Proverbi, venire a dirci, già in queste poche righe, alcune cose fondamentali. Che la sapienza di Dio è condivisibile e comprensibile, tanto che Dio stesso ce la dona; e che la dona a noi in forma di donna sapiente, di parola con voce femminile, in questo modo stabilendo un nesso dirompente tra filosofia e femminilità, e scardinando fin da subito l’idea che il “vero filosofo” non possa essere altri che un uomo. Non solo: questa Donna –Sapienza ci annuncia il suo legame originario con il creato, con il mondo naturale, perché quando Dio dava vita alla natura la Donna-Sapienza era già lì con Dio e con la natura, e ne gioiva; e tanta gioia traboccava fin nella «parte abitabile della terra», tanto che la Donna-Sapienza trovava la sua gioia più completa proprio «tra i figli degli uomini». I quali a loro volta, uomini e donne, potranno essere addirittura «beati» se osserveranno le vie della Donna-Sapienza. Beati se ascolteranno le sue istruzioni essendo che le sue parole altro non sono se non la Parola stessa di Dio…

Care amiche, cari amici del Centro Culturale Protestante di Milano, ecco, come vedete, c’è davvero tanto su cui pensare e lavorare assieme. I tempi sono difficili, le nostre forze sono esigue, e noi non possiamo certo presumere di risolvere chissà cosa. Però con modestia, possiamo elaborare, alla luce delle Scritture, alcuni spunti di riflessione critica sul nostro tempo presente, e sull’orizzonte di serena e pacifica gioia che la Parola di Dio sempre ci indica.

In attesa di rivederci, un saluto caloroso da Giampiero Comolli (presidente) e tutto il comitato del Centro Culturale Protestante.

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